Il nostro progetto

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Fondata nell’età degli Stati liberali, la ricerca storico giuridica ha sin dal suo inizio ricostruito il diritto medievale come un fenomeno essenzialmente laico, distinto nettamente dalla cultura teologica e fondato su una sua autonomia disciplinare. Questa visione finisce col cancellare la fondamentale presenza del religioso nell’esperienza giuridica occidentale e condiziona la nostra capacità di comprendere le interazioni fra diritto e religione, fra normatività giuridica e normatività religiosa, rendendo più arduo confrontarsi con civiltà che, entrando in conflitto con l’Occidente, si caratterizzano, invece, per una presenza pervasiva e nient’affatto neutrale del religioso nella vita pubblica.

La fine dell’Antichità vede affermarsi due grandi complessi testuali che fondano l’identità religiosa e la tradizione normativa: il testo sacro e le compilazioni imperiali del diritto romano. Sin dalla prima intersezione fra cristianesimo e impero romano, infatti, gli influssi reciproci fra chiesa nascente e impero sono segnati dalla definizione di testi canonizzati che codificano il diritto e tramandano la parola di Dio. Entrambi i complessi testuali (il Codice di Teodosio e poi il Corpus iuris di Giustiniano per un verso, il canone delle Scritture Vetero e Neotestamentarie per l’altro) richiedono interpretazioni che ne chiariscano il senso e li rendano fruibili nella pratica.

Questa considerazione, ovvia a prima vista, ritorna oggi più che mai attuale, mostrando così che il problema dell’interazione fra diritto e religione e quello della ‘comprensione’ della ‘parola’ caricata di autorità non sono affatto risolti. Accanto a quello dell’interpretazione (tecniche, significati, modalità), anche il tema della ‘normatività’ del testo sacro è fondamentale per comprendere quali siano stati e quali possano ancora essere i legami fra diritto e religione. Anche i testi sacri del cristianesimo assumono infatti un forte carattere di normatività, perché il movimento cristiano si impianta su un tessuto già fortemente giuridicizzato, qual era il mondo romano, e perché la chiesa nascente stessa mostra di voler affiancare alla regolamentazione, di tipo ‘pastorale’, che prevede il controllo costante dell’occhio del pastore sulla sua comunità (epi-scopia), anche una regolazione prescrittivo-autoritativa derivata da una normazione di tipo ‘positivo’ (decretali, canoni conciliari, dottrina canonistica). In questa dicotomia, il testo sacro non perde il suo carattere precettivo/normativo, che è centrato sull’exemplum biblico e richiede un costante adeguamento alla realtà attraverso l’interpretazione. Di contro, la legislazione laica assorbe e ingloba, anche nel lessico, il carattere sacrale sia attraverso la ‘sacralizzazione’ dell’imperatore-legislatore (il cuore del sovrano è nella mano di Dio) sia per mezzo di un processo di recezione, spesso letterale, del testo sacro (per es., molte leggi romano-barbariche e poi carolinge come pure il Liber Augustalis di Federico II propongono numerose citazioni dal Vecchio e dal Nuovo Testamento).

La prospettiva storica costituisce certamente una chiave insostituibile per comprendere non solo le tensioni del passato, ma anche quelle attuali, fra regola religiosa e norma giuridica. Non meno importante sono anche la prospettiva filosofica da un lato e le cognizioni tecnico-giuridiche dall’altro. Un approccio alle fonti libero dai preconcetti che spesso hanno caratterizzato gli studiosi del passato, fa emergere la ricchezza e la rilevanza di questo confronto nell’analisi del ruolo del diritto nella società contemporanea.


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